Basilica di San Domenico Maggiore

Piazza San Domenico Maggiore 1-11. (Apri Mappa)
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Descrizione

La chiesa di San Domenico Maggiore è una chiesa monumentale sita in posizione pressoché centrale rispetto al decumano inferiore, nella piazza omonima.

Voluta da Carlo II d'Angiò ed eretta, inizialmente in stile gotico, tra il 1283 e il 1324, divenne la casa madre dei domenicani nel regno di Napoli e chiesa della nobiltà aragonese; fu sotto un profilo storico, artistico e culturale tra le più importanti della città. Nel febbraio del 1921 papa Benedetto XV l'ha elevata al rango di basilica minore.

Nel 1231 i domenicani, con a capo Fra Tommaso Agni da Lentini, giunsero a Napoli, e non disponendo di una sede propria, si stabilirono nell'antico monastero della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, gestita dai padri benedettini, prendendone possesso.

La consacrazione della chiesa a San Domenico avvenne nel 1255 per volere di papa Alessandro IV, come attestato da una lapide posta alla destra dell'ingresso principale. La costruzione della chiesa fu voluta da re Carlo per un voto fatto alla Maddalena durante la prigionia patita nel periodo dei vespri siciliani. La prima pietra fu posta il 6 gennaio del 1283, con i lavori che si protrassero sino al 1324, seguiti nella fase definitiva dagli architetti francesi Pierre de Chaul e Pierre d'Angicourt.

La chiesa fu eretta secondo i classici canoni del gotico, con tre navate, cappelle laterali, ampio transetto e abside poligonale, e fu realizzata in senso opposto alla chiesa preesistente, vale a dire con l'abside rivolta verso la piazza, alle cui spalle fu aperto, in periodo aragonese, un ingresso secondario.

Nel corso dei secoli importanti personalità hanno avuto legami con il complesso; san Tommaso d'Aquino, la cui cella è tutt'oggi visitabile nell'edificio, vi insegnò teologia; mentre tra gli alunni illustri, si ricordano su tutti i filosofi Giordano Bruno e Tommaso Campanella.

Numerosi interventi succedutisi nei secoli ne hanno alterato la struttura e le originarie forme gotiche: nel periodo rinascimentale terremoti e incendi avviarono i primi rifacimenti; nonostante tutto nel 1536 Carlo V fu accolto nel tempio. Ancora più incisivi furono i rifacimenti barocchi del Seicento, tra i quali spiccano la sostituzione del pavimento (poi completato nel XVIII secolo) con quello progettato da Domenico Antonio Vaccaro.

Con l'avvento a Napoli di Gioacchino Murat, il complesso fu destinato ad opera pubblica (1806-1815) e ciò provocò danni alla biblioteca e al patrimonio artistico, mentre un tentativo di ripristino fu messo in atto con i restauri ottocenteschi di Federico Travaglini, che tuttavia portarono ad un complessivo snaturamento dell'originale spazialità della chiesa.

Ulteriori danni furono subiti dal complesso durante il periodo della soppressione degli ordini religiosi, quando i padri domenicani dovettero nuovamente abbandonare il convento (1865-1885), a causa di alcuni adattamenti discutibili che si intese dare alle strutture (palestre, istituti scolastici, ricovero per mendicanti e sede tribunalizia).
I restauri del 1953 eliminarono i segni dei bombardamenti del 1943, ripristinando il soffitto a cassettoni, i tetti, le balaustre delle cappelle, la pavimentazione e l'organo settecentesco, riportando alla luce anche gli affreschi del Cavallini, mentre interventi più recenti (1991) vi sono stati sulla scala in piperno che conduce all'abside e sulla porta marmorea.

L'accesso al convento è su vico san Domenico, accanto a quello che sarebbe l'ingresso principale della chiesa; restaurato nel 2012 in rispetto alle forme dategli dall'architetto Francesco Antonio Picchiatti durante i lavori di rifacimento eseguiti verso la fine del XVII secolo, il convento si sviluppa su tre piani di cui è visitabile al pubblico solo quello terra, con il chiostro delle statue, la sala di insegnamento di san Tommaso D'Aquino, ed il primo, con la biblioteca, il refettorio, la sala del Capitolo e quella di San Tommaso.

Il complesso, talmente tanto esteso da arrivare fino a via San Sebastiano, in origine disponeva di tre chiostri, dei quali oggi uno è divenuto sede di una palestra comunale e un altro del liceo Casanova, il quale ha inglobato anche la sala in cui ha vissuto Giordano Bruno e per questo scomparsa.

Una volta entrati nell'edificio, il primo ambiente visibile è l'antica sala in cui insegnava San Tommaso, oggi utilizzata ancora per alcune lezioni di telogia, dentro la quale vi sono diversi libri storici, un pregevole pavimento maiolicato ed un affresco di Michele Ragolia nella facciata. Un'incisione immediatamente fuori la sala ricorda qual era il compenso dovuto al santo per le sue lezioni: un'oncia d'oro al mese.

Immediatamente dopo la sala c'è il chiostro delle statue, detto così per la presenza di quattro statue provenienti dalla chiesa di San Sebastiano, attraverso il quale è possibile raggiungere la monumentale scala che porta ai livelli superiori.

Al primo piano è possibile ammirare alcune delle più importanti sale dell'antico convento: dalle celle dei domenicani (tra cui quella del d'Aquino), al refettorio, alla sala del Capitolo fino alla biblioteca storica.
La biblioteca di san Domenico (chiamata all'epoca Libraria di san Domenico) fu considerata fin dal XV secolo una tra le più importanti biblioteche di Napoli, grazie soprattutto a donazioni ed acquisizioni di privati o dei frati domenicani del convento stesso. Già nel Cinquecento, la raccolta possedeva importanti testi come quattro scritti di Giovanni Pontano (donati dalla stessa nipote dell'umanista), opere di Senofontee Aristotele, il De arte amandi di Ovidio, le Epistole di Seneca, testi di Cicerone ed altre ancora. Nel 1685 fu chiamato Picchiatti per eseguire lavori di rifacimento dell'intera sala. Nel corso del XIX secolo i testi della biblioteca furono soppressi e destinati in altri luoghi, alcuni dei quali dispersi, altri confluiti nelle biblioteche universitarie ed in quella Nazionale.

La stanza di san Tommaso d'Aquino, il cui ingresso monumentale è caratterizzano da un mezzo busto raffigurante san Tommaso, opera di Matteo Bottiglieri, è formata da soli due ambienti, dentro i quali il santo viveva la sua vita conventuale, eseguiva i suoi ricevimenti con gli studenti e svolgeva i suoi studi liturgici. Queste funzioni le fece nell'ultimo periodo della sua vita, tra il 1272 ed il 1273. Dopo la partenza di san Tommaso, l'ambiente fu trasformato in cappella con la conseguente aggiunta marmorea del portale esterno. Sopra l'altare è posto l'originale dipinto duecentesco prima esposto nel cappellone del Crocefisso della chiesa stessa, mentre al lato vi è una reliquia contenente un osso di Tommaso (un omero), donato al convento dai frati domenicani di Tolosa, dove san Tommaso è sepolto. Nella sala accanto invece vi sono infine arredi sacri, la scrivania e la sedia utilizzata dal santo, alcuni libri storici ed una pagina di un'opera scritta di pugno da san Tommaso.

Il refettorio, che si divide in grande e piccolo, venne eretto tra il 1668 ed il 1672 durante i lavori di ampliamento e ristrutturazione avviati su volontà di Tommaso Ruffo duca di Bagnara, sugli spazi che occupava prima l'infermeria. Nel grande refettorio oggi sostanzialmente rimangono dell'antico ambiente i due affreschi posti nelle pareti di fondo. In quella anteriore è presente un'opera eseguita negli elementi prospettici di contorno da Arcangelo Guglielmelli, mentre nell'Ultima cena posta al centro, l'attribuzione cade su Domenico Antonio Vaccaro e nell'Andata al calvario, posta come elemento di sfondo, la datazione ricade al XIX secolo. Nella controfacciata è invece presente il San Tommaso in preghiera di fronte al crocefisso firmato e datato 1727 da Antonio Rossi d'Aversa. Gli arredi interni invece furono dispersi nel corso degli ultimi secoli.

La sala del Capitolo è la sala del convento che meglio si è conservata ed è una delle più rilevanti tra quelle edificate nei lavori di ampliamento avviati da Tommaso Ruffo sul finire del XVII secolo. La sala è caratterizzata da pregevoli decorazioni in stucco presenti in tutte le pareti laterali eseguiti da maestranze dell'ambito di Cosimo Fanzago e da decorazioni pittoriche eseguite da Michele Ragolìa durante il 1678 circa. I lavori eseguiti dal pittore siciliano furono: sulla parete di fondo, la scena del Calvario; nella volta, quattro riquadri raffiguranti Scene della Passione di Cristo; otto scene più piccole raffiguranti invece i Misteri della Passione; infine, dieci tondi raffiguranti putti con i Simboli del martirio di Cristo.

Ai piani superiori al primo invece vi sono gli ambienti privati dei frati domenicani ed una cappella utilizzata per alcune funzioni. Tra i corridoi e le sale, sono comunque esposti alcuni manoscritti storici, libri corali in pergamena del Cinquecento e numerosi dipinti, tra i quali si citano due tele del 1656-1660 di Mattia Preti, San Giovanni Battista ammonisce Erode e Decollazione di San Giovanni Battista; una Maddalena di Cesare Fracanzano; infine diverse pitture del Solimena, Giordano e di altri autori della scuola napoletana.

Sulla piazza San Domenico non si apre l'ingresso principale, ma un piccolo ingresso sottostante l'abside e rinforzato da pilastri, con le originarie finestre ad arco acuto deturpate da una serie di artefatti architettonici che si sono susseguiti nei secoli. Tuttavia tale accesso è chiuso al pubblico; resta invece di più frequente e facile utilizzo la grande scalinata sul lato occidentale voluta da Ferrante d'Aragona quando l'allora adiacente chiesetta di San Michele Arcangelo entrò a far pare del complesso di San Domenico.

L'ingresso principale è tuttavia rivolto a nord e vi si accede, attraverso un ampio cortile, dal vicolo San Domenico, mediante un portale con numerosi elementi gotici; sulla parte alta esterna dell'arcata vi è un affresco raffigurante La Vergine che offre lo scapolare domenicano al beato Reginaldo della scuola di Pompeo Landulfo (pittore vissuto nella seconda metà del XV secolo). Il lato interno del portale presenta una iscrizione che testimonia la munificenza di Carlo II d'Angiò nei confronti dei frati; lo stesso sovrano è raffigurato in una statuetta di marmo posta in una nicchia. L'ingresso della chiesa è attraverso il pronao settecentesco, tra il portale marmoreo gotico (ad arco acuto) e la porta lignea.

L'interno è molto vasto (76×33×26,5 m) e presenta una pianta a croce latina suddivisa in tre navate. La chiesa è ricca di opere d'arte sia scultoree che pittoriche, nonostante i diversi furti che si sono susseguiti nel corso del tempo e nonostante gli spostamenti che hanno visto alcune di queste trovare esposizione definitiva nei poli museali cittadini o esteri.

Un quadro in tondo raffigurante San Domenico è esposto sulla controfacciata, opera di Tommaso De Vivo, mentre il soffitto a capriate originario fu sostituito da quello di epoca barocca (1670).
La zona absidale, ideata da Nicola Tagliacozzi Canale, vede insistere alle spalle dell'altare maggiore la sontuosa cassa barocca dell'organo (databile 1715) che ha occupato lo spazio in cui vi erano prima le sepolture dei re aragonesi, andate quasi distrutte durante l'incendio del 1506, e sostituendo altri due organi preesistenti. Sulle pareti laterali, in sostituzione a due dipinti di Michele Ragolia del 1680 andati persi durante i lavori di restauro del XVIII secolo, vi sono due grandi affreschi ottocenteschi di Michele De Napoli raffiguranti San Tommaso tra i dottori e San Domenico che disputa con gli eretici. L'altare maggiore è invece opera di Cosimo Fanzago ed è databile al 1652, seppur vi sono stati dei lavori di adeguamento successivi al terremoto del 1688. 
Successivamente vi lavorarono infatti anche Ferdinando de Ferdinandi, Giovan Battista Nauclerio ed infine Lorenzo Vaccaro, che eseguì nel 1695 i putti laterali. Il crocifisso è risalente all'Ottocento, mentre altri elementi decorativi scultorei sono databili intorno al XVI secolo. Sulla cantoria alle spalle dell'altare maggiore posta a ridosso della parete fondale dell'abside, si trova l'organo a canne della chiesa, costruito nel 1973 dalla ditta organaria dei Fratelli Ruffatti riutilizzando la cassa barocca dell'organo costruito nel 1715 dall'organaro Fabrizio Cimino. Lo strumento è a trasmissione elettrica, ed ha consolle indipendente avente due tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 32 note. La cassa lignea barocca, riccamente decorata con sculture e rilievi, presenta la mostra divisa in tre campi, all'interno di ciascuno dei quali si trova una cuspide di canne di Principale con bocche a mitria.

Le cappelle sono quattordici (sette per lato), più altre due nella controfacciata (una per lato) aggiunte successivamente l'edificazione della chiesa, più altre otto nel transetto (quattro per lato). Quest'ultimo è caratterizzato da altari e sepolcri databili dal Trecento al Cinquecento e vede nella prima e seconda cappella sul lato destro l'accesso agli antichi ambienti della chiesa di San Michele Arcangelo nella quale è presente tra l'altro anche l'ingresso/uscita che dà su piazza San Domenico Maggiore.

Nella settima cappella a destra vi è inoltre l'accesso alla sacrestia di San Domenico Maggiore dalla quale si accede a sua volta alla sala del tesoro di San Domenico.