Chiesa del Gesù Nuovo

Piazza Gesù Nuovo 2-4. (Apri Mappa)
(75)

Descrizione


La chiesa del Gesù Nuovo o Trinità Maggiore è una chiesa monumentale di Napoli, sita in piazza del Gesù Nuovo ad ovest dell'antico decumano inferiore.
Si tratta di una delle più importanti chiese basilicali della città a cui vi hanno lavorato i più influenti artisti della scuola napoletana; all'interno è custodito inoltre il corpo di san Giuseppe Moscati.

La chiesa fu costruita tra il 1584 ed il 1601 sull'antico palazzo Sanseverino.
Il palazzo, progettato da Novello da San Lucano, per espresso volere di Roberto Sanseverino principe di Salerno, fu ultimato nel 1470. Da Roberto passò al figlio Antonello che, per contrasti con la Corte Aragonese, subì la confisca dei beni e fu costretto a fuggire da Napoli. Successivamente, suo figlio Roberto ottenne il perdono dal re di Spagna e la famiglia poté tornare nel palazzo dove tenne in seguito le celebri “accademie” che ne furono vanto. Ospite del palazzo fu l'Aretino, che vi incontrò i letterati napoletani Scipione Capece ed Antonio Mariconda.
Ai tempi di Ferrante Sanseverino ed Isabella il palazzo era celebre per la bellezza dei suoi interni, le sale affrescate e lo splendido giardino. Era inoltre un punto di riferimento per la cultura napoletana rinascimentale e barocca nella persona di Bernardo Tasso, segretario di don Ferrante. Quando nel 1536 Carlo V venne a Napoli, reduce dalle sue imprese d'Africa (conquista di Tunisi), Ferrante lo accolse nel suo palazzo, organizzando in suo onore una festa sfarzosissima rimasta celebre nelle cronache dell'epoca.
Sotto il viceregno di don Pedro di Toledo, nel 1547 fu tentato di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola; il popolo si ribellò e Ferrante Sanseverino sostenne l'opposizione popolare. Pur riuscendo ad impedire questa grave iattura per Napoli, tuttavia egli non poté evitare la vendetta degli spagnoli che gli confiscarono tutti i suoi beni e lo obbligarono nel 1552 ad andare in esilio.
Passati i beni dei Sanseverino al fisco e messi in vendita per volontà di Filippo II, nel 1584 il palazzo con i suoi giardini fu venduto ai gesuiti.
Entrati in possesso del palazzo, i gesuiti incaricarono della ristrutturazione di tutto il complesso i loro confratelli Giuseppe Valeriano e Pietro Provedi. Essi sventrarono completamente il sontuoso palazzo, non risparmiando né le splendide sale né i giardini; le uniche parti che si salvarono furono la facciata a bugne (riadattata alla chiesa) ed il portale marmoreo rinascimentale. La consacrazione avvenne il 7 ottobre 1601 e seppur dedicata alla Madonna Immacolata, la nuova chiesa dei gesuiti fu fin da subito volgarmente chiamata "del Gesù Nuovo", per distinguerla dall'altra già esistente, divenuta per l'occasione "del Gesù Vecchio".
Tra 1629 e il 1634 venne eretta la prima cupola con lavori diretti dal gesuita Agatio Stoia su progetti del Valeriano e del Provedi e nel 1635-1636 Giovanni Lanfranco affrescò la cupola con uno stupefacente Paradiso da tutti ammirato. Nel 1639 la chiesa, a causa di un incendio, fu sottoposta a lavori di restauro che furono diretti da Cosimo Fanzago. Nel 1652, Aniello Falcone fu incaricato di affrescare la volta della grande sacrestia.
Nel 1688 un terremoto causò il crollo della cupola ed il danneggiamento degli interni; tra il 1693 e il 1695 si procedette così ai lavori di ricostruzione e completamento della chiesa: la cupola fu ricostruita da Arcangelo Guglielmelli e l'originale portale marmoreo rinascimentale fu arricchito con due colonne, due angeli e lo stemma dei Gesuiti "IHS". Nel 1717 tutto il complesso fu rinforzato, su progetto di Ferdinando Fuga, con l'erezione di contropilastri e sottarchi. Paolo De Matteis inoltre dipinse nella cupola ricostruita una Gloria della Vergine, affresco che tuttavia fece rimpiangere il perduto Paradiso del Lanfranco. Nel 1725 il cantiere del Gesù Nuovo si può dire concluso.
Nel 1767, dopo che i gesuiti furono banditi dal regno di Napoli, la chiesa passò ai francescani riformati, che però rimasero poco per l'incerta statica dell'edificio. Nel 1774 a causa di un secondo parziale crollo della cupola, questa venne totalmente abbattuta, mentre la chiesa rimase chiusa per circa trent'anni. Nel 1786 l'ingegnere Ignazio di Nardo si dedicò alla copertura della chiesa: la cupola venne sostituita con una falsa cupola a calotta schiacciata ("scodella") che oggi si presenta dipinta con un cassettonato prospettico; la copertura della chiesa invece venne provvista con un tetto a capriate.
Nel 1804 i gesuiti furono riammessi nel regno, ma nuovamente espulsi durante il periodo francese dal 1806 al 1814. Rientrati i Borbone, nel 1821 la chiesa tornò in possesso della Compagnia di Gesù. Tuttavia, nel 1848 e 1860 i gesuiti furono nuovamente allontanati. L'8 dicembre del 1857, l'altare maggiore ideato dal gesuita Giuseppe Grossi fu ultimato e la chiesa dedicata all'Immacolata Concezione. Nel 1900 l'ordine dei gesuiti poté rientrare definitivamente.
La chiesa subì gravi danni durante la seconda guerra mondiale a causa di alcuni attacchi aerei. Durante uno di questi bombardamenti, una bomba che cadde proprio sul soffitto della navata centrale rimase miracolosamente inesplosa. Oggi la bomba è esposta all'interno della chiesa.
Nel 1975 la chiesa è stata nuovamente restaurata sotto la direzione di Paolo Martuscelli; i lavori furono seguiti anche dal padre gesuita Antonio Volino che ha provveduto tra l'altro all'ennesima riparazione della pseudocupola. Dal 1976 al 1984, infine, il complesso fu utilizzato per rappresentare il rovescio della 10.000 lire, in cui figurava appunto parte della facciata a bugne della chiesa e la parte inferiore della barocca guglia dell'Immacolata che caratterizza l'omonima piazza.
La facciata di palazzo Sanseverino divenne la facciata della chiesa; essa è caratterizzata da particolari bugne, una sorta di piccole piramidi aggettanti verso l'esterno, normalmente usate dal rinascimento veneto. Queste presentano degli strani segni incisi dai “tagliapietra” napoletani che avevano sagomato la durissima pietra di piperno, segni che tradizionalmente erano interpretati come caratterizzanti le diverse squadre di lavoro in cui essi erano suddivisi.
Anche il portale marmoreo è di palazzo Sanseverino e risale agli inizi del XIV secolo. Però nel 1685 i gesuiti apportarono alcune modifiche ai fini bassorilievi alle mensole su cui poggia il fregio superiore e al cornicione: aggiunsero lateralmente due colonne prolungando la cornice ed il frontone fu spezzato per inserirvi uno scudo ovale che ricorda la generosità della principessa di Bisignano, Isabella Feltria della Rovere. Alla sommità laterale furono apposti gli stemmi dei Sanseverino e dei della Rovere e sull'architrave un altro fregio con cinque testine che sorreggono dei festoni di frutta.
I finestroni e le porte minori furono disegnati da un altro architetto gesuita, il Proveda. Il Valeriani, del palazzo patrizio, riuscì a preservare solo la facciata a bugne, sacrificando il cortile porticato, le ricche sale affrescate e i giardini. In effetti, anche se il bugnato della chiesa si presenta di particolare bellezza, questo non armonizza con il portale classico e i due elementi insieme danno un risultato architettonicamente privo di omogeneità.
I portali minori sono cinquecenteschi: la decorazione dei battenti con lamina metallica fu eseguita a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.
Nel Rinascimento esistevano a Napoli alcuni maestri della pietra che si credeva fossero in grado di caricarla di energia positiva per tenere lontane le energie negative. Gli strani segni incisi che si riconoscono sulla facciata ai lati delle bugne "a punta di diamante" (disposti in modo che sembrasse si ripetessero secondo un ritmo particolare che lasciasse intuire una “chiave” di lettura occulta) hanno dato luogo ad una curiosa leggenda.
La leggenda vuole che chi fece edificare il palazzo (che a questo punto bisogna presupporre sia stato Roberto Sanseverino), avesse voluto servirsi in fase di costruzione di maestri pipernieri che avevano anche conoscenza di segreti esoterici, segreti tramandati solo oralmente e sotto giuramento dai maestri agli apprendisti, capaci di caricare la pietra di energia positiva. I segni misteriosi graffiti sulle piramidi della facciata, secondo la leggenda, avevano a che fare con queste arti magiche o conoscenze alchemiche; essi dovevano convogliare tutte le forze positive e benevole dall'esterno verso l'interno del palazzo. Per imperizia o malizia dei costruttori, queste pietre segnate non furono piazzate correttamente, per cui l'effetto fu esattamente opposto: tutto il magnetismo positivo veniva convogliato dall'interno verso l'esterno dell'edificio, attirando così ogni genere di sciagure sul luogo.
Questa sarebbe la ragione per cui nel corso dei secoli tante sventure si sono abbattute su quell'area: dalle confische dei beni ai Sanseverino, alla distruzione del palazzo, dall'incendio della chiesa, ai ripetuti crolli della cupola, alle varie cacciate dei Gesuiti, e così via.
Nel 2010 però, lo storico dell'arte Vincenzo De Pasquale e i musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz hanno identificato nelle lettere aramaiche incise sulle bugne, note di uno spartito costituito dalla facciata della chiesa, da leggersi da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto. Si tratta di un concerto per strumenti a plettro della durata di quasi tre quarti d'ora, cui gli studiosi che l'hanno decifrato hanno dato il titolo di Enigma. In questo lavoro certosino, allo storico dell’arte sono stati di supporto le conoscenze matematiche di Assunta Amato, quelle architettoniche di Tullio Pojero e quelle legali di Silvano Gravina.
Questa interpretazione è stata messa in discussione dallo studioso di ermetismo e simbologia esoterica Stanislao Scognamiglio, che ha sostenuto che i segni sulle bugne non siano caratteri dell'alfabeto aramaico, ma che invece possano essere sovrapponibili ai simboli operativi dei laboratori alchemici in uso fino al Settecento.
L'interno barocco, a croce greca con braccio longitudinale lievemente allungato, presenta una ricca decorazione marmorea realizzata dal Fanzago nel 1630. Sulle controfacciate sono presenti affreschi di Francesco Solimena sulla Cacciata dei mercanti dal tempio del 1725 (navata centrale) e della sua scuola (laterali), mentre le volte a botte sono dipinte da Belisario Corenzio tra il 1636 e il 1638, alcune di essere poi ridipinte da Paolo De Matteis circa cinquanta anni dopo, causa dissesti susseguiti al terremoto del 1688, e ritraggono scene sul Nome di Gesù
La tribuna è affrescata da Massimo Stanzione; nel transetto si osservano affreschi di Sant'Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio, opera di Belisario Corenzio e ridipinti da Paolo De Matteis. La cupola, ricostruita da Ignazio di Nardo e consolidata da una struttura in calcestruzzo armato, presenta una calotta sferica scandita dalle finestre lunettate; le decorazioni in stucco riprendono il motivo del cassettonato mentre nei pennacchi della falsa cupola ci sono gli affreschi sui quattro evangelisti, questi resti del ciclo del primo Seicento di Giovanni Lanfranco.
Gli organi a canne della chiesa sono due, sopraelevati alla navata centrale, nella zona absidale. Uno è datato 1640 circa, di Vincenzo Miraglia, non più utilizzabile, l'altro, restaurato da Gustavo Zanin nel 1989 riutilizzando la cassa barocca e parte del materiale fonico del precedente strumento seicentesco, è opera di Pompeo de Franco. Lo strumento, a trasmissione mista, meccanica per i manuali ed elettronica per i registri e le combinazioni, ha due tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera di 32.
L'abside che, assieme al transetto, è il punto più disomogeneo dell'edificio, fu realizzata a cavallo dei secoli XVII e XVIII da Cosimo Fanzago, che eseguì anche la scultura della Madonna posta nella nicchia al centro dell'architettura, e terminata da Domenico Antonio Vaccaro e dalla sua scuola; altre sculture sono di Matteo Bottiglieri e Francesco Pagano. L'altare maggiore è invece un'opera di metà Ottocento, progettata dal gesuita Ercole Grossi ed eseguita da Raffaele Postiglione.
Nella navata sinistra si aprono tre grandi cappelle più una ancor più grande che corrisponde alla parte terminale del transetto più un'ultima che funge da "abside della navata". La prima cappella, sui Santi Martiri, presenta una decorazione in marmo di Costantino Marasi, sculture di Girolamo D'Auria, una pala d'altare dell'Azzolino con la Madonna, il Bambino e Santi Martiri, affreschi di Corenzio del primo decennio del XVII secolo. La seconda cappella è dedicata alla Natività: impreziosita con decorazioni pittoriche di Corenzio, che affrescò la cupola e le volte, e con la pala d'altare di Girolamo Imparato che eseguì la scena della Natività, ha nel suo fulcro artistico il gruppo di sculture datate 1601 raffiguranti Sant'Andrea di Michelangelo Naccherino e San Matteo e l'Angelo di Pietro Bernini. Il cappellone di Sant'Ignazio di Loyola corrisponde alla parete principale del transetto sinistro: esso fu decorato da Cosimo Fanzago, Costantino Marasi e Andrea Lazzaro per quanto riguarda architettura e marmi, mentre le statue del David e Geremia laterali all'altare, 1643-1654, furono eseguite dal Fanzago stesso; le tele sono opere pittoriche di Jusepe de Ribera che raffigura una Gloria di sant'Ignazio ed un Papa Paolo III approva la regola di sant'Ignazio, poste in alto al centro ed a destra dell'altare, entrambe del 1643-44; di Girolamo Imparato e Bernardo Azzolino altri dipinti, mentre la pala d'altare è di Paolo de Matteis con una Madonna col Bambino tra Sant'Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio del 1715. La cappella del Crocefisso e di San Ciro fu disegnata da Dionisio Lazzari nel 1659 e vede affreschi di Giovanni Battista Beinaschi dell'ultimo quarto del Seicento, un pregevole gruppo scultoreo ligneo della seconda metà del Cinquecento di Francesco Mollica che ritrarre la scena della Crocefissione di Cristo; il pavimento è invece dei fratelli Muzio e Giovan Battista Nauclerio. L'ultima cappella, di San Francesco De Geronimo, che funge da abside sinistro, presenta marmi disegnati da Giuseppe Bastelli, Domenico di Nardo, Donato Gallone, resti di affreschi di Francesco Solimena un gruppo scultoreo di Francesco Jerace e due grandi lispanoteche lignee di Giovan Domenico Vinaccia contenenti più di 70 busti reliquiari.
La navata destra ha lo stesso schema di quella sinistra, seppur il braccio del transetto risulta essere un po' più lungo. La prima cappella è dedicata a san Carlo Borromeo e presenta decorazioni marmoree di Costantino Marasi e Vitale Finelli mentre gli affreschi nella volta e la pala d'altare sul santo sono di Giovanni Bernardino Azzolino. La seconda cappella (della Visitazione) è dedicata a san Giuseppe Moscati e conserva un dipinto sull'altare di Massimo Stanzione mentre le decorazioni in marmi policromi sono del Fanzago. Il cappellone di San Francesco Saverio corrisponde all'altare del lato destro del transetto: esso è ornato da dipinti di Luca Giordano, decorazioni marmoree di Giuliano Finelli, Donato Vannelli e Antonio Solaro mentre le sculture sono di Cosimo Fanzago. Le tele di Luca Giordano su San Francesco sono: San Francesco Saverio trova il Crocifisso in mare, Il Santo caricato dalle croci ed Il Santo che battezza gli indiani, tutte del 1690-92, poste rispettivamente in alto a sinistra, al centro ed a destra dell'altare; sono inoltre presenti: una Madonna del Rosario di Fabrizio Santafede sulla parete di destra, e cicli di affreschi del Corenzio e del De Matteis, mentre del Fanzago sono le due sculture raffiguranti Sant'Ambrogio e Sant'Agostino, entrambe databili 1621, ai lati dell'altare su cui fa mostra un San Francesco Saverio in estasi dell'Azzolino. Sul lato destro del transetto, inoltre, una porta dà accesso all'oratorio di Giuseppe Moscati, con esposti alcuni manoscritti del santo, sue fotografie storiche, alcuni rosari e le antiche stanze del santo (sala da letto e studio) donate dalla sorella del medico alla congregazione dei gesuiti di Napoli. Superato il transetto, la cappella di San Francesco Borgia è arricchita unicamente con decorazioni settecentesche in quanto distrutta dopo il terremoto del 1688: di Angelo Mozzillo e Sebastiano Conca gli affreschi e dipinti, mentre i marmi furono disegnati nel XVIII secolo da Giuseppe Astarita. La cappella del Sacro Cuore, l'ultima della navata destra, che funge da abside destro della chiesa, presenta ornamenti di Belisario Corenzio sulla volta e sulle pareti laterali, databili 1600, e marmi dei fratelli Mario e Costantino Marasi.